Lepre in salmì

 

American gothic. Grant Wood, 1930

“Il pranzo è servito”, annunciò con fare monacale il signor Ambrogio.

Lady Rose prese posto come al solito a capotavola. Alla sua destra i due figli, alla sua sinistra il marito, ingobbito tanto dal lavoro quanto dalle beghe, con gli occhi socchiusi dal peso delle palpebre sormontate dalle sopracciglia folte e bianche, che contrastano arditamente con la calvizie prematura e i favoriti bruni ben curati.

Subito dopo Ambrogio arrivò con la prima portata, posò i piatti sotto ogni naso con costruita indifferenza e tornò in cucina.

“Questa lepre in salmì è una gran delusione!”, chiosò la giovane figlia.

“Io dico che manca solo di un pizzico di sale. Ma, a parte questo, è deliziosa come sempre”, aggiunse il patriarca assaporando con masticazione lenta il boccone.

E così faceva con ogni boccone, da sempre. Ad ogni morsico, ad ogni deglutizione un ricordo che fuggiva via, una memoria che tornava e che poi spariva, come in un valzer succulento.

“Ma che ne capisci tu di cucina? – accusò immediatamente la matrona – Ce ne vuole per far disgrazie simili tra i fornelli! Quell’uomo non vale i soldi che gli diamo!”.

“Dovresti licenziarlo, madre. – disse il figlio – Stasera stesso”.

“Suvvia. – si intromise il padre – Non prendiamo decisioni così avventate. Può capitare di dimenticare un po’ di sale nella vita”.

“Ma di cosa parli? – tuonò sua moglie – Il sale? Qua non si sta parlando di sale! Qui si parla di professionalità! Non so proprio dove tu lo abbia pescato marito mio, ma il tuo sopraffino buongusto è andato a farsi benedire!”.

Ambrogio, ben nascosto dietro la porta che separa la cucina dalla sala da pranzo, origliava e piangeva. Dove poteva andare se la sua reputazione fosse stata rovinata da un granello di sale?

Dopo aver perduto tutto, ancora non gli sembrava vero di essere stato accolto da Sir Lawrence così calorosamente, quasi come un figlio.

Sin dal primo giorno tra quelle calde ed eccessivamente decorate mura, si sentì parte integrante di un mondo preziosamente placcato al quale non avrebbe mai potuto aspirare, se non come servo. E la sua maestria in cucina aveva operato ciò, inaspettatamente, come per incantesimo, quello strano giorno al mercato del paese.

Il suo salmì era sempre stato un’opera d’arte, orgoglio della sua famiglia, la cui ricetta si tramandava da madre in figlio da generazioni. E ora, per un granello di sale, sarebbe tornato a mendicare: “Oh, me misero! Come farò?”, si disperava.

 

“E poi sempre salmì! È possibile che in questa casa non si faccia altro che avere salmì per cena? Mai nemmeno una bestia diversa! Sempre e solo lepre! Lepre in salmì!”, continuò a bofonchiare la matrona.

Sir Lawrence si alzò bruscamente in piedi sbattendo i pugni sulla mensa: “Insomma! Sono ancora io il capofamiglia, che ti piaccia o no! La tua pretenziosità di sedere a capotavola non dà diritto al comando! Ti lascio decidere di ogni cosa, pur di non sentirti predicare come una cagna, ma la cena no! La cena non si tocca! Se io dico lepre in salmì, allora lepre in salmì deve essere!”.

Lady Rose non si scompose e con sguardo fermo e severo anch’ella si mise in piedi, con controllata lentezza. Facendo perno con i palmi sulla tavola, sfiatò come un toro e sentenziò: “Tu? Ah! Non sei in grado di allacciarti le scarpe senza di me! Tu, che con la tua ottusità ci facesti cacciar via dalla corte del re! Tu! Meschino! Sudicio! Ingrato! Se ancora abbiamo un tetto sopra la testa e beni di cui godere è solo grazie a me! E ora sono stufa e quell’insulto d’uomo deve sparire!”, si risedette con la rapidità di un fulmine urlando il nome di Ambrogio.

Il povero servo aprì e varcò la porta con gran timore: “Comandi, signora”.

“Mio marito ha da dirvi qualcosa”.

Ora era Sir Lawrence ad essere nei guai, proprio lui che era più fedele di un cane da riporto, si trovava a dover rovinare la vita di un uomo che ne aveva già vissute tante. Non poteva, non ne aveva il coraggio.

Con le ginocchia che gli tremavano stentava a rimanere in posizione eretta e si lasciò cadere sulla sedia fingendo uno svenimento.

La figlia immediatamente girò intorno al tavolo per raggiungerlo: “Padre!”, esclamò angosciata.

L’uomo aprì giusto un poco un occhio per guardare il volto della giovane che quasi iniziava a piangere.

Il figlio invece non si scompose, per quanta considerazione aveva di lui.

Ambrogio subito lo acciuffò per le spalle e lo adagiò al suolo: “Sir! Sir! Mi sentite?”.

Sir Lawrence socchiuse entrambe le palpebre e chiese al servo di accompagnarlo fuori.

Egli subito obbedì, mentre che il resto della famiglia rimaneva a tavola con solo la figlia ad aver pena per lui.

Una volta raggiunto il balcone, l’uomo fece cenno ad Ambrogio di sedersi al suo fianco: “Caro Ambrogio. Amatissimo Ambrogio”, disse struggendosi.

“Padrone, Sir! Ditemi, cosa posso fare per voi?”, chiese con apprensione se non anche con gran timore di udire ciò che non voleva udire.

“Mio caro Ambrogio, fu destino quel giorno al mercato. Fu destino!”, una lacrima gli scese.

“Sì, Sir. Lo penso anche io. Il giorno, tra i miei, più gioioso”.

Sir Lawrence non fu più in grado di trattenere il dolore che nel petto bruciava come tizzone ardente.

Ricordava quel giorno al mercato come fosse ieri. Passeggiava tra le verdure e i pesci delle bancarelle ben allineate sotto i tendoni logori...

 

“Pesce! Pesce fresco!”, urlavano di qua.

“Cavoli! Cavoli belli per le vostre minestre!”, urlavano di là.

Sir Lawrence continuò a camminare tra le urla e le tirate di bavero, atte a convincere all’acquisto chicchessia, fino a che giunse al suo olfatto qualcosa di familiare. Seguendo come un segugio quel profumo, giunse ad una piccola baracca alla fine dei tendoni, al suo interno un uomo ben indaffarato tra mestoli e padelle stava cucinando una lepre in salmì.

Sir Lawrence si pose dinanzi alla porticina e restò ad osservare senza fiatare.

L’uomo fece un balzo brandendo il mestolo: “Voi chi siete?”.

“Scusatemi, – rispose con umiltà – non volevo spaventarvi. È che questo profumo è, a dir poco, inebriante”.

L’uomo, per porre rimedio al tono poco cortese usato, posò il mestolo e gli servì del salmì: “Prego, assaggiate”.

Sir Lawrence osservò la composizione di quel piatto: il bordo ben pulito, i colori brillanti delle verdure di contorno appena scottate, la salsa che scendeva lentamente dai lati della carne tagliata con precisione maniacale.

Allungò la mano per prendere la forchetta che egli gli porse, ma un lieve tremore dovuto all’emozione o chi lo sa, gliela fece scivolare di mano. La raccolse senza farsi notare ed immediatamente inforcò e assaggiò un pezzo di lepre.

Come la sua lingua testò il boccone ebbe quasi un mancamento, tant’è che l’uomo uscì rapido dal suo baracchino per prenderlo al volo.

Sir Lawrence lasciò cadere la forchetta, si concentrò sulla masticazione per non affogarsi e poi, seguitando a tener gli occhi chiusi sussurrò: “Ambrogio!”.

“Sì, signore. È il mio nome. Come lo sapete?”.

Il patriarca spalancò gli occhi e se lo vide dinanzi, a meno di un palmo. Preso dal timore di aver rivelato troppo si alzò lesto, posò delle monete sul banco del baracchino e andò via.

Ambrogio, in un primo momento pensò che a quell’uomo non fosse piaciuto il suo salmì, ma non si spiegava perché si dileguò con tanta fretta. Era vero che il suo salmì aveva una certa fama in paese, ma non ricordava avesse mai fatto svenire o scappare nessuno.

Dopo qualche minuto Sir Lawrence fece ritorno da lui e gli propose di andare a servizio in casa sua: “Voglio mangiare questo tuo salmì ogni giorno a venire”.

Ambrogio, incredulo, accettò con grande entusiasmo. Erano forse finiti per lui i tempi di fame e miseria.

 

“Ne fui felice. – proseguì Sir Lawrence – Ti posi la domanda con timore, non so come avrei reagito ad un tuo rifiuto, ma quando dicesti di sì, il mio cuore si colmò di tanta gioia quanta non ne conobbi mai, se non quando…”, e qui si interruppe.

“Se non quando… cosa?”, chiese Ambrogio con gran cortesia.

Sir Lawrence sospirò una volta, poi due, poi tre; era arrivato per lui il momento di ritrovare quel barlume di coraggio, come nel giorno in cui gli chiese di venire a servizio, ma ora gli sembrava più difficile.

Sospirò quattro: “Quando… conobbi tua madre”.

“Voi conoscevate mia madre?!”.

Egli annuì: “E l’amai. L’amai ogni giorno, e ogni notte, e ogni singolo minuto”.

Ambrogio non sapeva cosa dire, ricordava sua madre quasi come fosse un sogno. Ricordava lei tra i fornelli che gli insegnava i segreti del salmì; ricordava i baci e gli abbracci, con quel grembiule unto, che odoravano sempre di selvaggina. Ma non conobbe mai nessuno in grado di parlargli di lei.

“Era una donna come poche, – continuò – il suo sorriso riusciva a portare la luce anche nelle tenebre più profonde e mi guidava sempre, il suo sorriso era la mia bussola. E il suo salmì! Oh, il suo salmì! Tra tutti i piatti che tua madre cucinava divinamente, il salmì era senza dubbio il mio preferito…”.

Ambrogio, in religioso silenzio, ascoltava.

“…mi diceva sempre che la ricetta aveva un segreto che si tramandava da generazioni e che non avrebbe mai rivelato. E non lo fece! Non seppi mai il suo segreto. ‘Lo rivelerò solo alla mia prole, perché la tradizione abbia seguito’, sue testuali parole”.

“Io conosco il segreto. – disse Ambrogio timoroso – Mi state raccontando tutto questo perché io ve lo riveli, così che mi possiate mandar via senza rimorso?”.

“Certo che no! Ma come ti vengono in mente certe cose? Semmai avrai dei figli lo rivelerai a loro, ma mai a me! Sarebbe per me come tradire la fiducia della tua amata madre”.

Ambrogio tirò un sospiro di sollievo, forse aveva salvi stomaco e reputazione. Ma ancora non si spiegava come conoscesse tanto bene sua madre e, soprattutto, in tutti questi anni, non gli chiese mai come sapesse il suo nome ancor prima di presentarsi.

A Sir Lawrence non servì che il servo gli ponesse la domanda, aveva già capito: “Quando tua madre morì, io finii in miseria e fui spedito alle miniere. Non potevo mantenerti e non potevo assicurarti un tetto sopra la testa, così ti affidai ad un amico. Poco dopo venni a sapere che egli morì e…”.

“…e io finii in orfanotrofio, – continuò Ambrogio – dal quale scappai appena ne ebbi l’occasione, ma finii per mendicare”.

A quel punto si fece il silenzio.

Ambrogio si sentì quasi mancare. Con lo sguardo appannato dalle lacrime, intanto che il suo corpo perdeva le forze sussurrò: “Padre!”.

Tanti anni senza di lui e tanto carbone scavato ne cambiarono l’aspetto, non aveva più i capelli, le rughe sulla fronte tradivano l’età e gli anelli non coprivano a sufficienza cicatrici e calli.

Cadde in miseria di nuovo il povero Sir Lawrence, che per necessità sposò l’arpia di nobile famiglia dandole due figli. Cercò il suo primogenito con disperata costanza e lo trovò, grazie al salmì della sua amata.

Ora egli sapeva, ma sapeva anche che non poteva manifestare la sua gioia dinanzi a Lady Rose.

Così, per quel momento, espressero le loro emozioni con il silenzio.

 

Allo stesso istante la matrona si affacciò per assicurarsi del marito e vide Ambrogio in lacrime: “Bene, glielo hai detto. Era ora!”.

Sir Lawrence abbassò lo sguardo per non rivelare il vero.

Lady Rose seguitò: “Allora? Ancora qui? Prendi quei tuoi due stracci e vai via!”.

Ambrogio, ancora sconvolto dall’aver ritrovato suo padre, in un primo momento non capì, poi si ricordò del discorso origliato dietro la porta. Si alzò con rammarico, fece un inchino a suo padre e andò via.

Sir Lawrence si alzò di scatto tradendo la sua salute e corse dietro Ambrogio, ma sua moglie lo bloccò per un braccio: “A quanto vedo ti sei ripreso”.

L’uomo rimase in silenzio fissandola con gli occhi gonfi di sangue.

Lady Rose lo strattonò: “Dove credi di andare? Lascialo stare, quella peste bubbonica deve sparire!”.

Sir Lawrence con altrettanta prepotenza si liberò dalla presa di sua moglie e le urlò in faccia: “Sei tu che devi sparire! Petulante megera!”, e seguitò a rincorrere il figlio ritrovato.

“Ma come ti permetti? Maledetto! Ingrato maledetto! Anziché ringraziarmi di averti accasato e salvato da fame e sventura! Io che ti ho presentato a corte e che tu dalla stessa ci hai fatto cacciare!”.

Intanto che urlava e sputava sentenze andò verso il camino, dalla cui cappa prelevò l’archibugio.

“Tu, maledetto che mi hai ridotta in miseria con due figli da sfamare!”.

Sparò e lo mancò.

“Tre figli!”, urlò sir Lawrence senza fermarsi.

La donna si arrestò. Si voltò indietro per guardare la prole, seguitò quindi a rincorrere il marito sparando: “Non sai nemmeno contare!”.

Finalmente il patriarca raggiunse Ambrogio e lo abbracciò: “E tre!”, disse digrignando i denti.

Lady Rose si arrestò dinanzi a loro puntando l’arma: “Cosa vuoi dire, stupido caprone? Quello è nostro servo, non nostro figlio!”.

“È qui che ti sbagli! Ambrogio è il mio primogenito, l’unico nato dall’amore e non dalla necessità”.

Lady Rose abbassò il fucile, poi si ricredette e lo puntò di nuovo contro i due uomini: “Bugiardo! Credi di impressionarmi? Torna qui e lascia andare via quella disgrazia ambulante!”.

“Giammai!”, tuonò.

La matrona preparò l’indice per far fuoco.

Sir Lawrence rimase tosto a far da scudo al figlio.

Il dito della donna iniziò a curvarsi verso il grilletto.

Udito il fracasso, la figlia accorse verso di loro e non esitò a interporsi tra l’archibugio e suo padre.

L’indice di Lady Rose aveva ormai finito il suo moto.

Vide la sua giovane figlia sgorgare sangue dal petto. Nel suo di petto sentì una rapida fitta, lanciò via l’arma e, avanzando sulle ginocchia, raggiunse il corpo della giovane, giusto in tempo per avvertire il suo ultimo respiro.

Nel mentre, il figlio imbracciò il fucile e lo puntò verso il padre: “Non meritasti mai mia madre!”.

Sparò.

Il cuore di Ambrogio intercettò il proiettile e si fermò.

Si accasciò sulle ginocchia e Sir Lawrence lo pianse, e avrebbe continuato a piangerlo per tutti i giorni a venire.

“Tutto per una lepre in salmì!”, disse rabbiosa Lady Rose mentre stringeva al petto il corpo della figlia.

Era arrivato per Sir Lawrence il momento propizio.

Prese l’archibugio e vendicò Ambrogio, risparmiando la matrona: “Per la lepre in salmì! Che questo dolore ti sia di traboccante compagnia!”, le disse con livore.

Lasciò quindi quella casa di disgrazie e rimorsi mai vinti, recando seco il corpo del primogenito.

E con esso il segreto del salmì.

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