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Lepre in salmì

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  American gothic. Grant Wood, 1930 “Il pranzo è servito”, annunciò con fare monacale il signor Ambrogio. Lady Rose prese posto come al solito a capotavola. Alla sua destra i due figli, alla sua sinistra il marito, ingobbito tanto dal lavoro quanto dalle beghe, con gli occhi socchiusi dal peso delle palpebre sormontate dalle sopracciglia folte e bianche, che contrastano arditamente con la calvizie prematura e i favoriti bruni ben curati. Subito dopo Ambrogio arrivò con la prima portata, posò i piatti sotto ogni naso con costruita indifferenza e tornò in cucina. “Questa lepre in salmì è una gran delusione!”, chiosò la giovane figlia. “Io dico che manca solo di un pizzico di sale. Ma, a parte questo, è deliziosa come sempre”, aggiunse il patriarca assaporando con masticazione lenta il boccone. E così faceva con ogni boccone, da sempre. Ad ogni morsico, ad ogni deglutizione un ricordo che fuggiva via, una memoria che tornava e che poi spariva, come in un valzer succulento. “Ma

Quieta

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La bella dama senza pietà. John William Waterhouse, 1893 Oggi sei quieta, arrestata, sospesa. Sembri innocente, innocua, perdente.   Ancora m’inganni, e mi fai prigioniera con quel solito fare, seducente demonio.   Oggi sei quieta, che fai? Mi tradisci? Chissà dove sei, non so se mi manchi.   Ti cerco, senza bramosia, dove so che non sei, ché il tuo silenzio è ora divina melodia.   Oggi sei quieta, e un po’ mi spaventa. Aspetto che torni, in realtà ne ho bisogno.   E poi me ne pento. Non so se ti amo, spesso è il contrario, eppur mi completi.   Oggi sei quieta, e non lo sopporto. T’allontani al tuo desìo, torni contro il voler mio.

Gennaio

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  Concetto spaziale. Attese. Lucio Fontana, 1963 Cos’hai tu di diverso? Cos’è che ti rende nuovo? Dov’è la felicità promessa, quel gioioso rinnovamento, ostentato ancor prima di entrare in scena?   Tu, mendace verginello, rientri nel tuo grembo discreto e imporporato, risorgi dalle ceneri da egli stesso stillate.   Cos’è che ora dovrei fare? Un anno in più sulle mie spalle ingobbite dal dolore, se non anche dall’età. Un altr’anno da stare a guardare.   Tant’altri giorni srotolati ai tuoi piedi, la scarlatta passatoia del tempo e delle genti che in te confidano.   E rinverdiranno i tigli in quest’altra primavera, ma sempre la stessa. E s’infrangeranno le onde dei tuoi oceani, sempre gli stessi.   E sorgerà il sole ogni giorno, sempre nuovo, sempre lo stesso, a sputare lava incandescente sulle teste dei saggi e degli stolti, sulle rive e sui monti.   E tornerà ogni notte la luna, con le sue scure ombre ad ammantare ogni cosa. E arriverà poi la tua fine, tornerai cenere nel grembo che ti